con vista su Taurasi


  • 1. LA TAURASI DEL "GRAND TOUR"

Non sono molti i viaggiatori stranieri, quando andava di moda il Grand Tour (secc. XVIII-XIX), che hanno scelto il nostro paese come luogo di passaggio.

 

George Berkeley (Viaggio in Italia, 1717), parlando di Benevento, descrive i dintorni: "[…] Alberi, vigne, grano, a destra e a sinistra; strade libere, vigne e alberi fitti; un paesaggio delizioso, vario come nei dintorni di Benevento, ma meglio coltivato. Alle 7.30, campi variopinti a destra; due villaggi sul pendio di colli, a destra; vigne a sinistra, grano a destra, lupini. Una distesa fantastica; arbusti. Ampio campo aperto, come in Irlanda. Lungo una strada sassosa il fiume Calore, al di là, poco lontano, una sola casa. Qui vicino i Campi Arusini (o, secondo Cluverio, Taurasini), dove Pirro re dell’Epiro fu sconfitto dai Romani”.

 

Invece Craufurd Tait Ramage (The Nooks and Byways of Italy, pubblicato in italiano col titolo Viaggio nel Regno delle Due Sicilie, 1868), vi era stato in compagnia di Charles L. Dykes, partiti da Napoli, si erano diretti dapprima a Caserta e poi a Benevento, da qui avevano organizzato una spedizione verso il lago d’Ansanto, “[…] Non sapevamo con precisione dove si trovasse, ma io acquistai una certa padronanza della topografia della zona. La mattina seguente (1° dicembre 1826 n.d.a.) partimmo prima dell’alba e poiché eravamo convinti di essere nei pressi del lago e temendo di perderci nelle montagne, ritenemmo più saggio assicurarci parecchio tempo a disposizione. Devi sapere che le strade quel giorno erano così cattive che non era possibile procedere ad andatura superiore a quella di passo d’uomo.

 

Circa le 11 arrivammo ad un piccolo paese, Taurasi, che pensammo si trovasse vicino al lago. Qui decidemmo di fare riposare i cavalli e di ristorarci con quanto ci fosse possibile trovare, in via di cibarie, per far colazione. La gente dei luoghi aveva visto un solo altro inglese prima di noi e sembrava ci scambiassero per mostri, affollandosi intorno ed invadendo la capanna nella quale stavamo mangiando del pane rozzo e del formaggio, che era quanto di meglio avevamo potuto trovare. Erano, tuttavia, molto cortesi e qui un uomo si offrì di condurci al lago che, a suo dire, distava 8 chilometri. Questa era la migliore soluzione e convinti che egli ne conoscesse l’ubicazione per averlo visto, partimmo fiduciosi poco dopo le dodici. Lasciato il paese la strada si fece impraticabile e fummo obbligati a condurre i cavalli a capezza per quasi tutto il tragitto […]”.

Craufurd Tait Ramage, The Nooks and Byways of Italy 1828
Craufurd Tait Ramage, The Nooks and Byways of Italy 1828
In questa carta del 1808 si nota la strada che da Taurasi portava a Montemiletto, col ponte sul fiume Calore
In questa carta del 1808 si nota la strada che da Taurasi portava a Montemiletto, col ponte sul fiume Calore
  • 2. LA "TAURASI" DI MARIO SOLDATI 

Domenica 19 settembre [1943]

Sveglia alle sette. […] Alle otto siamo in sella. L’amico ciclista ha riparato le camere d’aria. Attraversiamo in velocità il ponte sul Calore, lasciamo la strada asfaltata, e ci ingaggiamo per la polverosa via di Taurasi. […]

 

Queste strade secondarie sono segnate molto sommariamente sulla nostra carta; […] Tutti i nomi di questi paesi hanno uno strano incanto: Paternòpoli, Taurasi, Gesualdo, Fontanarosa, Villa Maina, Frigento, Taverne di Frigento, Sant’Angelo dei Lombardi, Torella dei Lombardi, Guardia Lombarda, Nusco. Lo stesso paesaggio si trasforma rapidamente sotto i nostri occhi; e man mano che ci allontaniamo dal ponte sul Calore e dalla strada asfaltata, abbiamo l’impressione di avanzare in una natura favolosa ed antica, la stessa dei quadri di Salvator Rosa e Massimo d’Azeglio, o dell’Ariosto illustrato dal Doré.

 

Grandi alberi, boschi disordinati, fortissime forre, campi gremiti di messi che non paion neppur coltivate, piccole valli e lunghi dorsi di colline che ci seguono e frastagliano in mille direzioni, e improvvise radure dove scorre tra i ciottoli il filo d’acqua di un torrentello. Irpinia, si chiama questa regione, e non la conoscevo. Com’è varia e bella l’Italia. Forse aggiunge all’incanto il saperci ormai quasi certamente fuori da ogni pericolo e prossimi alla fine della nostra fuga […]. Siamo ancora in mezzo ai tedeschi; e gli americani sono vicini. […] Mentre la mia bicicletta corre leggera per le strade solitarie e polverose e lento alla mia destra e alla mia sinistra si svolge, come un doppio scenario del viaggio di Sigfrido, questo feerico paesaggio, penso, anzi so che il momento più felice della fuga resterà questo. […] Al bivio per Taurasi foro. Il sole è già alto; e ci sediamo per terra a riparare, nell’ombra di un breve argine. Tepore, ronzio di insetti, campane lontane. Anche qui, in piena campagna, si sente che è domenica. […] Rimontiamo in sella e facciamo appena un centinaio di metri quando un urlo selvaggio lacera l’aria. Ci fermiamo impauriti. […] Con due o tre urli staccati e separati il Feldwebel finisce la sua orazione. […] Lentamente, silenziosamente, scivolando sulla polvere delle carreggiate riprendiamo il nostro cammino.

 

In vista di Taurasi, raggiungiamo un gruppo di soldati italiani. Poiché la strada, proprio all’ingresso del paese, è in ripidissima salita, scendiamo dalla bicicletta e camminiamo con loro. Scamiciati, scalzi, travestiti da borghesi, anche essi, come tanti altri che abbiamo incontrato, tornano a piedi alle loro case, Calabria o Sicilia. Vanno per campi, tutt’al più per strade secondarie come questa, mai per le asfaltate.

 

Le prime case di Taurasi cominciano a mezza salita, e la salita finisce in una piazzetta, che già intravvediamo, con una fontana e una piccola Chiesa. Proprio all’imbocco della piazzetta un giovane bruno, piccolo, scarmigliato, tutto vestito di nero, e ci viene incontro, a noi e ai soldati, e con occhi spiritati e voce perentoria ci ordina di fermarci: “Alt! Cittadini, fratelli, combattenti, alt! Fermatevi!” Qualcuno tenta di svincolare, il giovane lo prende di petto e lo obbliga a fermarsi. Sulla piazzetta c’è un gruppo di altri giovani vestiti di nero, immobili che ci guardano. Il primo riprende gridando minaccioso come chi non ammetta di esser disobbedito: “Fermatevi! Voi che avete combattuto e sofferto, venite tutti qui! Venite qui ed inginocchiatevi davanti al fratello vostro combattente, morto per la Patria!”.

 

I soldati, chinando il capo come innanzi all’ineluttabile, obbediscono taciti all’imperioso gesto del giovane che indica a destra, sulla piazzetta Agostino e io ci guardiamo, spaventati, pur senza capire. Ci balena il sospetto che si tratti di una retata. Fino adesso era andato tutto così bene. Essere fregati proprio qui, alla fine, a due passi da Torella. Tuttavia non vediamo uniformi, né tedesche, né fasciste. Avanziamo adagio, in coda ai soldati. Vediamo che entrano tutti in Chiesa, spinti a forza dallo scalmanato giovinotto. Entriamo anche noi, per ultimi. “Inginocchiatevi!!, grida il giovane.

 

Tutti si inginocchiano, Sotto l’Altar Maggiore, che è illuminato da parecchie file di candele, vediamo, dietro un cristallo l’immagine in cera di un Santo vestito da soldato romano, Sant’Espedito o San Pancrazio. Sant’Espedito, ci mormora all’orecchio uno dei soldati. Appiccicate con puntine da disegno torno torno alla cornice del cristallo, vediamo una gran quantità di biglietti da cinque lire. E infiniti altri biglietti da cinque lire, alla base di ciascuna candela. Né io né Agostino ci siamo inginocchiati.

 

Forse per questo un ragazzo pallido, emaciato, dai grandi occhi azzurri, si accosta a noi e indicando il Santo ci sussurra timidamente: “Guardate gli occhi e le ciglia, ma guardate bene, si muovono, Cchiano cchiano. Si muovono!”, poi si avvicina ancora di più, quasi a toccare il mio orecchio e mormora tremando, come in un grande segreto: “L’altro giorno, per la festa del Nome di Maria, le guance avevano un colorito nu poco cchiù roseo… e la pelle acca” accenna l’orbita, sotto l’occhio “era nu poco cchiù vviola!”.

 

La parola miracolo, non osa pronunciarla; del sovrannaturale ha insieme adorazione e terrore, secondo il senso pagano di sacer. Agostino, che è anche lui napoletano, non ci fa caso. Ma io, stupefatto, guardo il ragazzo, pallido e guardo i giovani siciliani e calabresi, sonon sempre inginocchiati, fissano Sant’Espedito con tutta naturalezza, lo ringraziano che li abbia fatti arrivare fino lì, lo scongiurano che li faccia arrivare fino a casa. E’ religione questa? E’ soltanto superstizione? Misteri d’Italia! […] Guardando un’ultima volta i ragazzi inginocchiati […] Usciamo dalla Chiesa e ci avviamo per la via principale del paese. Alcuni vecchietti (i maggiorenti del luogo, dagli abiti puliti e antiquati) siedono in crocchio fuori dalle case. Ci avviciniamo e chiediamo la più breve strada per Torella.

 

Immediatamente, come se avessimo gettato un zolfanello su un mucchio di paglia secca, divampa tra di loro una lite frenetica su quale sia, per Torella, la strada più breve. Dopo cinque minuti di generale confusione, in un fitto incrociarsi accavallarsi e contraddirsi di proposti itinerari, la rissa prende forma di disputa. Prevalgono due partiti: il primo capeggiato da un vecchietto magrissimo, con panama, giacca di alpacca grigia, e una giannetta in mano, il quale saltella di qua e di là in mezzo alla via strillando con voce chioccia e indicando a noi, con fulminee virgole della giannetta verso tutte le direzioni dell’orizzonte, svolte bivii scorciatoie ponti e passaggi obbligati; il secondo partito capeggiato da un omone obeso, vestito di nero, con un nero feltro in capo, il quale rimane costantemente seduto su un invisibile sgabello, davanti a un grande portone, e tenta di dominare l’avversario col vocione potente benché rauco ed esagerando e prolungando a bella posta irrefrenabili colpi di rabbiosa tosse che interrompono il proprio discorso. Da tutto questo diverbio e dai contrastanti pareri, non ci è possibile ricavare la minima indicazione.

 

Rimontiamo in sella, ringraziamo e partiamo. Quelli seguitano a discutere. Già lontani, udiamo ancora alle nostre spalle i due capi che ci urlano dietro ciascuno il suo opposto itinerario. Mi volto un attimo e vedo che anche l’obeso si è alzato e ora grida a gran voce, troneggiando tra la folla in mezzo alla piccola strada.

 

Appena fuori di Taurasi, rombo di aerei in cielo, scoppi non lontani. Sono le undici, ora abituale dei bombardamenti. […].

 

Mario Soldati, Fuga in Italia, Milano 1947, pp. 80-93

In questa carta non vi è nessuna strada di collegamento con Mirabella Eclano
In questa carta non vi è nessuna strada di collegamento con Mirabella Eclano