Appunti di storia taurasina

© ELIO CAPOBIANCO, 2015


G. B. Canali, Latium Campania et Samnium, 1699
G. B. Canali, Latium Campania et Samnium, 1699

  • LE ORIGINI 

Le origini della città si perdono nella notte dei tempi, già molti millenni fa il nostro territorio, coperto di boschi e paludi era abitato. Le prime testimonianze risalgono al periodo dell’Eneolitico, in altre parole del “rame e della pietra”, che ebbe inizio solo nel III millennio a.C., in cui fa la prima comparsa il rame che, dapprima battuto poi fuso, fu usato per pugnali, monili e così via.

Le testimonianze, furono rinvenute lungo l’intero vallone in loc. Madonna delle Grazie – tra Mirabella Eclano e Taurasi – dove fu riportata alla luce una stazione preistorica di grande interesse storico-archeologica. La necropoli, rientrava tipologicamente, nella cosiddetta “Cultura del Gaudo”, le tombe erano del “tipo a forno con ingresso da un pozzo di forma circolare”, scavate nel tufo ad una profondità intorno ai due metri, chiuse da un lastrone pure di tufo, dove trovavano sepoltura da una a più persone in posizione rannicchiata.

 

I reperti inerenti all’industria litica erano costituiti da pugnali triangolari con codolo, a foglie d’alloro e stiloidi, da cuspidi e raschiatoi. L’industria della ceramica presentava una varietà di vasi ad impasto a forma globulare e tronco-conica in varie dimensioni. Interessanti le brocche sferoidi con ansa a nastro e collo cilindrico e tronco-conico, i vasi globulari senza  manici, forniti di coperchio, gli askoi con il collo eccentrico, spostato alle estremità del vaso ad ansa allungata, impostata orizzontalmente ed i vasi gemini o a saliera.

Fra le tombe, interessante quella del capo tribù, seppellito con il fedele cane e con un cospicuo corredo funerario, formato da sette vasi, due pugnali di selce, cuspidi di frecce, raschiatoi, vari pugnali di rame ed una piccola enea.

 

Un ulteriore ritrovamento avvenuto durante il 1993 è quello dell’insediamento di c/da s. Martino, si tratta di una capanna disposta sull’asse E-W avente una pianta ad U con l’ingresso seguito da una specie di vestibolo, che delimita un angusto spazio di forma quadrilatera, da cui si accedeva nell’ambiente principale della struttura abitativa. La capanna è caratterizzata da un muro perimetrale costituito da pietre irregolari di calcare poste in opera senza l’ausilio di leganti. All’interno sono stati trovati alcuni vasi con dentro ancora resti ossei di tre defunti sottoposti ad incinerazione di cui uno è riferibile ad un adolescente d’età compresa approssimativamente tra i 12-16 anni, mentre la seconda è la più incerta, poiché vi è soltanto il frammento di mandibola di un bambino. Rilevante anche la presenza di un focolare, su cui erano frammenti di una scodella d’impasto e moderatamente decorata; mentre di un altro focolare sono state individuate tracce nello spazio vestibolare, quasi all’ingresso. Quindi la struttura serviva sia come dimora sia come luogo di sepoltura; con molta probabilità essa crollò all’improvviso in seguito ad uno dei tanti terremoti che hanno funestato la nostra zona, fu abbandonata e non più ricostruita.

 

Il territorio fu scelto per le favorevoli condizioni climatiche e l’abbondanza d’acqua che permetteva la crescita di una lussureggiante vegetazione e dava rifugio ad una ricca fauna. Gli antichi abitatori, di razza preariana o mediterranea, trovavano tutto il necessario per il sostentamento.

 

  • IL NOME

Probabilmente è una derivazione in -s- da * taur -‘monte’, ma non si può escludere il significato del latino taurus (= toro), forse in senso totemico. Scrive lo Jannacchini: il toro è “[…] il compagno inseparabile delle migrazioni Osco-Sabelliche che poscia sgozzatasi al nume Sabo o Sango, giunto che erasi al punto di fermata”. Il nome di chiara origine osco-sabellica, fa riferimento al toro, mitico animale, condottiero della tribù sannitica dei Taurasini (ovvero, “popolo di montanari”), che giunti dal nord andarono ad occupare una vasta zona tra le odierne province di Avellino e Benevento e portarono alla nascita della città-stato di Taurasia [Tαυρήσιον (vecchio nome del Sannio)]. Sotto Roma, divenne Taurasium. In documenti medievali figura come Castelli TauraseTorasio (1181). Taurasa (1197-1212). Torasia (1221-1273). Terre Taurasii (1285-1309). Castri Taurasie, genitivo, (1308-1310) R.D. 5413. Taurasio (1481).

 

Bibl.:  BATTISTI, Sostr.  59   e  W.  SCHULZE,  Zur   Geschichte   Lateinischer   Eigennamen,   Berlin   1904   [Schulze],   234: *Tauresius, allato a Taurius; D. SILVESTRI, Taurasia Cisauna e il nome antico del Sannio, La Parola del Passato, 33, 1978, 167-180; L. CHIAPPINELLI, Note sui nomi di luogo dell’Avellinese, in Samnium, anno LXI n. 1-4, 1988.

 

 “A breve distanza dalla riva del Calore, ove giunge quasi alla metà del suo corso, sorgeva Taurasia, una delle primissime città degl’Irpini. […]” (N. Corcia, Storia delle Due Sicilie, tomo II, Napoli 1845, p. 496).

[…] Frenando ogni istintivo sentimento di varcare i limiti della esattezza storica, mi attenni a quel tanto di vago che ci tramandarono Livio, Strabone, Plinio, Varrone e Cluverio sull’esistenza della remota città.

Eppure, il suo nome è nobilissimo innanzi ai cultori della storia nostra e trasporta le menti sino ai tempi remoti, scrisse il Cluverio (Italia Antiqua, Lugduni Batavorum 1624, vol. II, lib. IV, cap. VIII, p. 1201) : «IX, Sed redeamus citra Apenninum. Ad Caloris dextram ripam est perantiquum opidum, Taurasium; vulgò nunc Taurasi dictum».

Siamo grati a questi studiosi, che resero giustizia  alla nostra Taurasia, col fissare definitivamente nel suo territorio la sede della città sannitica.

[…] Affermo che l’antica Taurasia, costruita intorno al IV secolo a.C., sorgeva a circa due chilometri dal moderno abitato (sua cittadella) su di uva vasta e fertile contrada, che in seguito doveva prendere il nome di Piano d’Angelo. La città era tutta adagiata su di un’amena pianura, lievemente inclinata verso Nord-Ovest per una estensione di circa km. 1,500.

[…] La posizione di Taurasia era assai forte, perché dall’abitato si domina l’intero territorio circostante.

Difatti, per tre lati del suo perimetro il terreno cadeva a strapiombo sulle vallette circostanti.

[…] Ai piedi della città ad Ovest, a Nord e ad Est scaturivano numerose sorgenti di acqua limpidissima, le quali ancora oggi si disperdono d’intorno in numerosi ruscelli.

[…] In quella plaga convergono tutte le antiche strade che un tempo allacciavano il Tirreno all’Adriatico da un verso, ed il Sannio alla Lucania all’altro.

[…] Tra i miei compaesani si è sempre tramandata di padre in figlio l’antica leggenda circa l’esistenza in quella zona della vecchia Taurasia; tradizione avvalorata in ogni tempo dal ritrovamento di numerosi oggetti di origine sannitica […]” (A. Ferri,  Taurasi e i Campi Taurasini..., Napoli 1963, pp. 121 e segg.)

 

Nel 1796 fu scoperta – nella suddetta contrada – una gran colonna di travertino, la quale poggiava sopra un solido fabbricato e presso questo edificio furono rinvenuti ornamenti muliebri di bronzo ed avorio ed a breve distanza vi è un cunicolo sotterraneo ad uso forse di uscita segreta in caso di assedio si vuole che questa misteriosa galleria conduca a Benevento.

“[…] Del resto dell’antica città non resta che poco o niente, ed il contadino lavorando il terreno, rompe continuamente coll’aratro i tegoli o tufi  dei  sepolcri ed  altre fondamenta di antichi edifizii.” (A.M.Jannacchini, Topografia Storica dell'Irpinia, vol. I, Napoli 1889, p. 220).

 

Lo Zigarelli (Storia della Cattedra di Avellino, vol. II, Napoli 1856, p. 432 e segg.)  scrive: “Ora dell’antica Taurasia altro non rimane che l’arx dè Romani, con gli aggiunti sobborghi, dandoci idea della sua prisca grandezza […]”, ed era della convinzione che la città fosse situata in c/da s. Pietro.

 

  • CONQUISTA DI TAURASIA

Dell'importanza che questa terra venne ad assumere, vi è testimonianza nell'epitaffio inciso sulla fronte principale del sarcofago del legato romano Lucio Cornelio Scipione Barbato; la città da lui conquistata nel 298 a.C. nel corso della III guerra sannitica. La vittoria riportata fu sicuramente molto prestigiosa, se fu degna di essere menzionata nell’iscrizione del sarcofago dello stesso Barbato, che fu rinvenuto nel 1782 a Roma, nei pressi di Porta Capena ed oggi collocato nel museo Pio-Clementino nella Città del Vaticano. L’”elogium” fu certamente inciso molto dopo la sua morte e le cancellature visibili sulla pietra possono significare che l’originaria iscrizione venne in seguito modificata per rendere più grandiose le imprese del legato, ciononostante essa costituisce un documento senza dubbio molto antico e probabilmente più attendibile della narrazione di Livio ed è uno dei più notevoli testi di latino arcaico (Orelli, Ipscriptionis, 550; CIL I, 6 e 7):

 

CORNELIVS.LVCIVS.SCIPIO.BARBATVS.GNAIVOD- PATRE.PROGNATVS.FORTIS.VIR.SAPIENSQVE.QVOIVS.FORMA

VIRTVTEI-PARISVMA.FVIT-CONSOL.CENSOR.AIDILIS.QVEI

FVIT.APVD.VOS-TAVRASIA.CISAVNA.SAMNIO.CEPIT

SVBIGIT.OMNE.LVCANAA.OBSIDESQVE.ABDOVCIT

 

(trad. di F. Della Corte-Loescher-Chiantore, Torino: “Lucio Cornelio Scipione Barbato, generato da Gneo, uomo forte e sapiente, che la prestanza ebbe veramente pari al valore, che fu console, censore, edile per vostra designazione, Taurasia, Cisauna e Sannio occupò, domò l’intera Lucania e ne trasse ostaggi”).

  • I CAMPI TAURASINI

Il suo territorio espropriato, divenne agro pubblico, che non sarebbe però stato utilizzato da Scipione, il quale avrebbe proceduto invece alle distribuzioni in Apulia.

 

Tito Livio (Ab Urbe condita storia, lib. XL, 37; 38), parla dei Campi Taurasini, "Ager publicus populi Romani erat in Samnitibus, qui Taurasinorum fuerat […]", descrivendoli come luoghi montani e boscosi (agros campestres) che, a partire da Malventum, declinavano prima in colli meno erti e infine in una pianura.

 

Il grande archeologo Theodor Mommsen (Bullettino dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica, 1847), scriveva: “[…] L'unica prova dell'identità dell’odierno Taurasi coll'antica Taurasia è l'omonimità, e quanto questa sia debole, non è chi l’ignori, anzi l'odierno Taurasi è tanto vicino ad Eclano, che pare incredibile avere esistito due città ragguardevoli a così menoma distanza. E supposto anche che Taurasia fosse realmente a Taurasi, chi sa fin dove arrivava il suo territorio? […]". Per il Guarini (Appendice alla seconda edizione delle ricerche sull’antica città d’Eclano, 1815): “[…] Ma qual si è l’antica Taurasia? Quale la campagna del suo destino Cisauna? La domanda sarebbe superflua per Taurasia. Esiste il rispettabile Comune di questo nome: esiste la Campagna Taurasina; e vi si incontrano abbastanza monumenti antichi, onde riconoscerne la vera topografia […]”.

 

Sempre nei pressi di questa città, il console romano Manlio Curio Dentato, nel 275 a.C., sconfisse le armate di Pirro (Flor., I, 18; Orosio, IV, 2).

 

Durante le guerre puniche, i Taurasini si schierarono con Annibale e si difesero tanto strenuamente da subire, da parte dei Romani, il quasi totale annientamento. La città, al termine delle ostilità, divenne "foederata", ossia alleata di Roma.

 

  • I LIGURI APUANI NEL TERRITORIO DI TAURASIA

Nel territorio taurasino, nel 181-180 a.C., per ordine del senato di Roma furono deportati ben 40.000 Liguri Apuani. "Primieramente veniamo a comprendere quai fossero stati i popolo Liguri Corneliani, e Bebiani di Plinio negl'Irpini, così detti, perchè furono qui da questi due consoli trasportati, da cui ritennero il nome. In secondo risappiamno, che il gran campo a' Liguri assegnato fosse stato una volta de' Taurasini, la città appellar dovevasi Taurasium. Ci espresse Livio, ch'essi trovarono qui tutte le abitazioni, senza il bisogno di doverle edificare, e che il denaro ad essi assegnato servir solamente doveva per comprarvi i mobili, ed altre cose necessarie... Esisteva adunque la città al loro arrivo, ma orba, e deserta di abitanti, dopo tante ruine, che aveva da' Romani ricevuta". Una seconda spedizione di 7.000 uomini seguì poco dopo. Sembra tuttavia che ai Liguri, una volta stanziatisi nell'Ager Taurasinus, sia stata concessa una completa autononia amministrativa.

 

Durante la guerra sociale del 90-89 a.C., la città si ribellò a Roma e fu saccheggiata; successivamente ebbe lo statuto di "municipia" e iscritta alla tribù (elettorale) "Cornelia".

 

Dopo la battaglia di Filippi, nel 42 a.C., durante il triumvirato augusteo, il territorio fu dato ai soldati romani veterani, diventando "colonia militare" ed i nuovi padroni iniziarono a costruire delle ville, mentre un'altra parte di esso passò nelle mani della seconda moglie di Augusto, Livia Drusilla.

 

Il ‘municipia’ di Taurasium (con un territorio “municipale” probabilmente molto piccolo), esisteva ancora ai tempi dell’imperatore Augusto (27 a.C.-14 d.C.), dato che era governato da magistrati e doveva perciò godere di una certa autonomia amministrativa e forse anche politica; questo si ricava dalla seguente iscrizione (CIL IX, 1085):

 

M- VERGILIVS- ) L

GALLVS-AVG

QVINQ

 

(trad.“Marco Virgilio Gallo, liberto di Caia, Augustale quinquennale”).

 

Scrive il Bellabona (Raguagli della Città d’Avellino, p. 26): “Molte Reliquie d’iscrittioni in detta Terra [di Taurasi] si vedono, però vi è la seguente intiera trasportata nella Collegiata, e Parrocchiale Chiesa […]”, si allude all’iscrizione dei ‘magistrati’; il Salvatore (Aeclanum, p. 26) aggiunge: “Alla prima riga il CIL riporta erroneamente “C” [=C(ai)] invece della “C” capovolta che significa C(aiae). L’errore è ripetuto anche negli “Indices”; ciò perché il Mommsen non vide di persona l’epigrafe e si fidò del Dressel mentre il Guarini l’aveva pubblicata esattamente. Il “praenomen” dell’uomo è un prenome generico che determina solo l’appartenenza di Gallo alla gens Virgilia…. Alcuni anni or sono, è stata trasportata ad Avellino, nel giardino del Museo Irpino, dove essa si trova esattamente, catalogata col n. 29. Il marmo presenta quasi a metà una frattura in senso verticale che ha cancellato quasi del tutto la “i” di “qvinq”.

 

F. Cluverio, Italiae Antiquae, lib. IV
F. Cluverio, Italiae Antiquae, lib. IV
  • LA TAURATA BIZANTINA

La città, nonostante le vicissitudini, non scompare. La prova è la menzione di "Kastron Taurata" che né farà il geografo bizantino Giorgio Ciprio, conosciuto per la sua <Descriptio Orbis Romani> ("Descrizione del mondo romano"), redatta nel decennio 600-610 d.C. Scritta in greco, elenca le città, villaggi, fortezze e divisioni amministrative dell'Impero Romano d'Oriente. L'elenco inizia con l'Italia e si muove in senso antiorario lungo il Mediterraneo, l'Africa, l'Egitto e l'Oriente. La lista sopravvissuta è evidentemente incompleta, come suggerito dall'assenza dei Balcani.  La Descriptio sopravvisse solo in una raccolta, probabilmente del IX secolo, insieme ad altre opere, come la Notitia Episcopatuum. È possibile che il compilatore, probabilmente l'armeno Basilio di Ialimbana, abbia alterato in parte il testo originale. 

  • I LONGOBARDI

Con l'arrivo dei Longobardi, si ha la rinascita e sorge l'odierna Taurasi, quasi sul medesimo sito. Nell'883 e tra il 900-910 subisce una serie di distruzioni da parte dei Saraceni. Nel 984 l’Irpinia venne sconvolta ed in gran parte distrutta da un violentissimo terremoto, il castello di Taurasi già cadente venne ancora di più devastato.

 

  • I FEUDATARI

Con l'arrivo dei Normanni, il castello viene ricostruito ed assegnato ad uno dei figli cadetti di Trogisio de Rota (fondatore della casata Sanseverino), a Trogisio il giovane (1101), che assumerà il patronimico "de Taurasi"; con costui la baronia di Taurasi raggiunge il suo massimo prestigio ed importanza, infatti, essa andava dalle porte di Benevento e Avellino fin sotto il territorio di sant'Angelo dei Lombardi. Alla sua morte, la grande baronia fu divisa tra i figli: Alamo ebbe Taurasi, Giacomo ebbe Castelvetere, Mabilia andò in sposa al cugino Trogisio de Grottaminarda e Ruggiero ebbe Monticchio; quest'ultimo donò a s. Guglielmo da Vercelli un pezzo di terra dove poi sorse il monastero del Goleto. Ribellatosi a Ruggero d'Altavilla conte di Sicilia, Alamo fu privato della sua baronia, che venne concessa ad Elia Gesualdo, (“e cosa chiara che la nobilissima famiglia Gesualda è discesa per linea naturale da i Normanni. […] Il Duca Ruggiero, hebbe d’acquisto naturale un figliuolo chiamato Guglielmo, […]”) (S. Mazzella, Descrittione del Regno di Napoli, Napoli 1601, pp. 718-719) ed il feudo fu compreso nella connestabilia di Gilberto de Balvano.

 

Nel 1147 Taurasi passò a Ruggiero de Castelvetere, nipote di Alamo de Taurasi. Egli, sposando Pieronne de Aquila, contessa di Avellino, ebbe anche questa città. Ruggero II, sovrano del Regnum Siciliae, commissionò al grande geografo arabo Abu Abd Allah Muhammed al-Idrisi (o Edrisi) un grande mappamondo e di fornire notizie su tutti i paesi allora conosciuti, dal risultato delle sue ricerche uscì il famoso “Kitâb nuzhatu-l mushtâq... =Libro per il sollazzo di chi si diletta a girare il mondo", più noto come <Kitâb Rugiar =Libro del Re Ruggieri>, terminato nel 1154; egli descrivendo la valle del Calore, nomina Taurasi [ﺰﺵ Tvra], dicendo: “Le città che abbiamo testé ricordate e le castella famose delle quali abbiam fatto menzione sono tutte a un dipresso valide fortezze e grosse terre alle quali fa capo ogni genere di commercio. Ferace oltremodo è il suolo e sulla loro difesa può farsi assegnamento”. Tra il 1150 e il 1168 fu compilato un registro generale degli obblighi militari dovuti al re da parte dei baroni per allestire la grande armata in difesa del Regno di Sicilia, è il cosiddetto “Catalogus Baronum”. In esso tra l’altro si legge: “Rogerius de Castello Vetere tenet de eodem Trogisio Taurasium, quod sicut dixit, feudum iij militum, et sanctum Felicem, quod est feudum i militis, et cum augmento obtulit militem vii et servientes x”.

 

 

In un documento dell’Archivio di Montevergine, del 1192, appare: “Trogisius, dominus Castri veteri et dominus Taurasiae”. Nel 1195, Pieronne si rifugia a Taurasi, tra i suoi amati vassalli, essendo Avellino ingovernabile e ribelle. Ruggiero ribellatosi agli Svevi fu imprigionato e condotto in Germania, di lui non si seppe più nulla. Intanto il feudo passava di barone in barone, da Pagano de Paris (1197) a Matteo de Castelvetere (1200).

 

Il feudo passa dal conte Ruggero Gesualdo (1206-1212) a Manfredi Maletta, nel 1252. Nel 1271 divenne abate di Montevergine Giovanni da Taurasi: egli si recò per ordine di papa Gregorio IX al secondo concilio ecumenico di Lione. Il 3 giugno 1277 si ordina al giustiziere di Principato, di proibire a Taurasi, sotto pena di 100 once, di tenere fiere o mercati, senza averne ottenuta la regia licenza.

 

 

Nel 1289, con la morte di Enrico de Taurasi, il feudo passa alla nipote Taurasina che va in sposa ad Enrico de san Barbato (“Nob. Henrico de s. Barbato, militi, marito Taurasinae de Taurasia, provisio de investitura feudi in Principato Citra et in Principato Ultra per obitum Henrici de Taurasia, militis, patrui carnalis dictae Taurasinae, filiae quond. Petri de Taurasia, fratris carnalis dicti quond. Henrici de Taurasia”) (De Lellis, Notamenti VII, p. 72; ex Fasc. 3, fol. 50). A questi, nel 1292, viene ordinato di recarsi al raduno militare di Eboli con ben 30 balestrieri: l'avvenimento fa pensare alla grande ricchezza che aveva Taurasi in questo periodo.

Nel 1325, fervendo la guerra contro gli Aragonesi, fra gli altri capitani angioini che andarono in Sicilia sotto il comando di Carlo duca di Calabria, vi è Tommaso de Taurasi. Non si sa per quale ragione Taurasi sia passata ai Lautrec nel 1384, nel 1401 passa a Riccardo Lautrec, però non la tennero per molto, perché nel 1418 entrò nei beni feudali dei Caracciolo e nello stesso anno Tommaso de Taurasi divenne vescovo di Monteverde.

 

Nel 1461, Giacomo Caracciolo parteggiando per Giovanna d'Angiò si schierò contro gli Aragonesi, il castello fu stretto d'assedio, conquistato e saccheggiato dalle truppe di re Ferdinando I; intanto il feudo veniva concesso a Nicola III Gesualdo (+19 marzo 1480); per passare poi a Luigi III, il quale nel 1498 si vede confiscare il feudo perché ribelle agli Aragona. Passa ad Ettore Pignatelli. Da Consalvo Fernandes d’Aghilar de Corduba, detto “il Gran Capitano”, il feudo nel 1506 ritorna a Luigi III Gesualdo (+1517); passa a Fabrizio I (+14 giugno 1545); Luigi IV (+17 maggio 1584); Fabrizio II (+1593) e poi a Carlo (signore di Taurasi dal 1596). Il principe madrigalista amò talmente Taurasi, da lasciarlo scritto nel suo testamento redatto nel 1608, egli era nato in Taurasi.

TAURASI, nelle carte geografiche di Ignazio Danti (Vaticano, 1581-1583). Foto: Carmine Clericuzio
TAURASI, nelle carte geografiche di Ignazio Danti (Vaticano, 1581-1583). Foto: Carmine Clericuzio

Da Isabella Gesualdo, nel 1636, il feudo viene acquistato da Niccolò Ludovisi dei principi di Piombino. Una ventina di anni dopo, una terribile peste colpì l'Italia e nemmeno Taurasi fu risparmiata, tanto che persero la vita più ella metà degli abitanti.

Nel 1668, Giovan Battista Ludovisi cedette il feudo alla Corte regia perché oberato dai debiti, e pochi anni dopo esso venne acquistato da Isabella della Marra, finché passò poi ai Carafa d'Aragona, da questa famiglia il feudo venne alienato per circa 30.000 ducati a Carmine Latilla (nel 1726); Benedetto Latilla, nel 1754 divenne vescovo di Avellino.

 

Nel 1799, con la nascita della Repubblica Partenopea, anche a Taurasi fu piantato l'albero della libertà. Con il ritorno dei Borbone, i Latilla, con Antonio (1790) lasciarono il titolo di barone per prendere quello di marchese, rimasero con Carmine fino all'abolizione della feudalità, avvenuta nel 1806.

  • DAL COMUNE AD OGGI

Il 1° gennaio 1809, Taurasi, già Universitas diventa ufficialmente Comune (La Comune, secondo i francesi). Durante i moti carbonari vi era una "Vendita" denominata "Gli auspici di Clelia".

Con R. Decreto del 24 agosto 1811, Gioacchino Murat autorizzò il Comune a tenere di martedì il mercato nello Stradone, attualmente è di sabato.

Nelle prime elezioni libere tenute nel 1848, tra i deputati eletti nel Principato Ultra vi era il colonnello Vincenzo degli Uberti, di Taurasi.

 

Nel novembre 1860 –tramite plebiscito- Taurasi è annesso al Regno d'Italia e nel 1893 è dotata di stazione ferroviaria, sulla linea Avellino-Ponte s. Venera.

Durante le due guerre mondiali, Taurasi ha dato un grande contributo di sangue per difendere l'onore della Patria.

 

Nel 1948 viene costruito l’acquedotto.

Il 23 novembre 1980, è stata duramente colpita da un terremoto, che ha causato grandi danni. Nel 1987, è dotato di rete per il gas metano.

 

Nel 1989, Taurasi "Terra del Vino", diventa Comune d'Europa, nel 1993, il rosso "Taurasi", ottenuto dal vitigno Aglianico diventa D.O.C.G., il primo dell'Italia meridionale.

Taurasi, "a volo d'uccello" come poteva apparire nel 1750
Taurasi, "a volo d'uccello" come poteva apparire nel 1750
  • TAURASI: LA FORTUNA DI UN NOME

Si è sempre pensato che il nome del vino “Taurasi”, fosse solo fortuna e derivasse semplicemente dalla stazione ferroviaria, con i treni merce che partivano carichi di vino per essere commercializzati nell’intera Italia. Spiegazione troppo banale per essere vera, invece la realtà è ben diversa, il “vino Taurasi” era conosciuto con questo nome già nel 1869, ben venti anni prima della costruzione della ferrovia Avellino-Ponte Santa Venera, quando in occasione dell’Esposizione Industriale di Capitana a Foggia, tra gli espositori vi compare il Sindaco di Taurasi, Giovanni degli Uberti, col vino “Taurasi”, vi partecipa anche un’altra azienda produttrice dello stesso vino con lo stesso nome, Federico De Feo, ma di Santo Stefano del Sole, ma quello che lascia stupefatti che produce il “Taurasi” anche Angelo Lupinacci, di Squinzano (Lecce). Il vino è considerato “da pasto comune”, di colore rosso e asciutto, ma di prezzo basso in Principato Ulteriore (25 lire per ettolitro), invece di 60 lire in Puglia. La relazione finale spiega: “Allo stato accorda ad essi per incoraggiamento la menzione onorevole. In Foggia, che solo da pochi anni in qua si è cominciato ad usare il vino del proprio contado con qualche riserva, perché molto inebriante, sono quasi generalmente usati quelli del Principato Ulteriore, con un’unica denominazione di vini Taurasi: di cotesti non ne sono mancati alla esposizione provenienti dai più rinomati luoghi di produzione. Il giurì ha dovuto riconoscere in essi un tipo di vino sano, ma grossolano, nel quale prevalgono soverchiamente, e quasi ne costituiscono la sostanza due acidi, il tannico ed il malico, sicchè non ponno riuscire gradevoli senza una lunga abitudine pel gusto. Ma se i produttori di tali vini attendessero che una più avanzata maturazione delle uve scemasse alquanto l’acido malico, ed una più breve dimora nel tino rendesse meno prevalente l’acido tannico, potrebbe forse meglio meritare quel favore che ora godono localmente e divenire elemento commerciabile in più estesa zona interna, se non per l’estero. (…)”.


A. Amati, Dizionario Corografico d'Italia, vol. VIII
A. Amati, Dizionario Corografico d'Italia, vol. VIII