AUTORE: ignoto;

EPOCA: fine XVI sec.-inizio XVII sec.;

CARATTERISTICHE: Olio su tela (cm. 200x150);

 

CENNI STORICI

Pure questa tela può essere ascritta alla committenza della famiglia Gesualdo. Raffigura s. Maria di Costantinopoli (come per altre Madonne, per questo genere non vi è una iconografia precisa, forse solo per gli angeli che posano una corona in stile orientaleggiante sulla testa della Vergine, quindi è raro trovarne due con caratteristiche simili), essa è di chiara ispirazione bizantina, non dimentichiamoci che Taurasi è molto vicina a Benevento, dove vi è la chiesa di s. Sofia e non molto lontano da Bari, tesi avvalorata pure dalla presenza di s. Nicola, vescovo di Myra, città sulla costa meridionale in quella che oggi è la Turchia, precisamente in Licia un’antica regione dell’Asia Minore. Il culto per questa Madonna, dopo l’avvenuta islamizzazione dell’Impero Bizantino, si diffuse nell’Occidente cristiano, portato da monaci che avevano salvato dalla distruzione le sacre immagini, forse originariamente di piccole dimensioni, icone probabilmente, le copie simili agli originali furono trasferite da abili artisti su tela ed ingrandite di molto per essere viste da lontano. Il culto prese poi piede dalle nostre parti per scongiurare la peste, andandosi a sovrapporre così a quello per s. Sebastiano e s. Rocco, venerato soprattutto negli ospedali, che una volta avevano lo scopo di accogliere i pellegrini e poi adeguati per curare i malati del posto. Perciò dove oggi si trova il ricordo di questa Madonna una volta c’era sul luogo o almeno nelle immediate vicinanze un ospedale (funzionante ancora nel 1807), così è per Taurasi.

 

DESCRIZIONE

Splendida, di chiara ispirazione tardo barocca, in questa tela l’ignoto artista che chiamiamo Maestro di Taurasi, si rifà soprattutto a Luca Giordano ed alla sua ispirazione visionaria e a Mattia Preti per la scelta dei colori scuri, in cui predominano i toni tenebrosi, vibranti e libertà inventiva. Essa “rappresenta una Madonna con santi ed anime purganti. Nella parte centrale uno scheletro alato regge una striscia con scritta (la morte, simboleggiata da uno scheletro, tiene un cartiglio dove si legge una frase della Bibbia OPERA ENIM ILLORVM SEQVVNTVR ILLOS, precisamente è estratta dal libro dell’Apocalisse 14,13: “Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore! Sì, dice lo Spirito, affinché si riposino dalle loro fatiche, poiché le loro opere li accompagnano”),  ed uno squarcio luminoso illumina la Madonna; s. Nicola (nella mano sinistra tiene un libro, il Vangelo, che ha sua volta sul bordo superiore due palline dorate, simbolo dei bambini da lui resuscitati) par che voglia ammonire il riguardante […]”[1], è accompagnato più in basso da “[…] un martire diacono (la palma è a terra e l’ordine del diaconato è indicato dalla dalmatica indossata), che potrebbe essere santo Stefano, il primo martire che intercede per le anime purganti non volendo che sia stato versato invano il suo sangue, oltre a quello di Cristo, per far andare in Paradiso coloro che hanno abbracciato la fede e che sono vissuti per questa fede. […] Se non fosse per il rosso del fuoco del Purgatorio questo quadro poteva ritenersi una immagine in bianco e nero con molte zone d’ombra fitta. E’ la serietà del messaggio che non dà accesso a vivacità e chiasso. […]”[2]

 

UBICAZIONE

Una grande tela per una piccolissima chiesetta, strano destino per quest’opera, certamente molto sproporzionata per le dimensioni, originariamente era posizionata sotto il soffitto e versava in un pessimo stato di conservazione, è ora posta alla parete sinistra.

 

STATO DI CONSERVAZIONE

L'opera si trova oggi in buono stato di conservazione, essendo stata restaurata nel 1993.

 


[1] G. DE MATTEO, v. Taurasi,  in “Viaggio in Irpinia”, vol. 2, Montoro Sup. 1997, p. 686.

[2] P. DI FRONZO, Le anime purganti, in “L’Arte Sacra in Alta Irpinia”, vol. I, Mercogliano 1997, pp. 98-99.


Una modesta osservazione

 

Fui chiamato per fotografare un quadro che è situato nella chiesa di s. Rocco a Taurasi; notai subito che era un quadro di discreta fattura.

Chiesi ad una persona, lì presente, che aveva frequentato l’Istituto d’Arte, come mai, lì dove il quadro era rovinato, c’era della pittura o stucco grigio. Mi fu risposto che era stata riparata solo la tela e non era stata restaurata la pittura, perché quella tela, essendo stata attribuita al pittore del ‘600 Angelo Solimena, non doveva essere alterata.

Io personalmente non penso affatto che quella tela possa essere attribuita ad Angelo Solimena, ma tutt’al più alla scuola di Angelo Solimena, poiché, anche un profano può notare che in quel quadro ci sono diverse “mani”.

Osservando il quadro si può notare come la parte sinistra, di chi guarda, sia piuttosto grossolana, insieme alla parte alta del quadro, soprattutto la Madonna, mentre la parte destra è abbastanza rifinita, ma nonostante tutto, mi sono soffermato sulla mano del monaco, ed ho notato che ha sei dita. Errore grossolano per un grande autore come il Solimena. Naturalmente si nota lo studio che è stato fatto sulle dita, e probabilmente nella fretta di ultimare l’opera, l’autore non è ritornato sulle rifiniture.

E’ probabile che possa essere della scuola del Solimena, in quanto, ho notato che la tecnica pittorica è quella della “velatura”, tecnica adoperata soprattutto dal grande pittore Tiziano Vecellio, e che molti altri grandi pittori hanno, poi, copiato.

Però, ho notato, tra l’altro, che l’autore ha usato colori di velatura poco efficienti, in quanto, si sono sbiaditi col passare del tempo, per cui si ha l’impressione che il quadro sia in bianco e nero.

Io ritengo che sia più giusto riportare all’originale splendore questa tela, anziché tenerla in questo stato. Le lesioni riportate, il colore mancante, le velature perdute, non fanno di questa tela un buon dipinto. Alla Madonna manca addirittura mezza faccia, al volto, che si trova nella parte inferiore della tela, è sfregiato un occhio, per cui lo sguardo di chi osserva cade immediatamente su quell’occhio.

Ritengo che restaurando questo dipinto non si faccia torto a nessuno, anzi si darà splendore a questa tela, a prescindere chi sia l’autore.

Tengo a precisare che non mi ritengo di essere il detentore del “grande sapere”, ciò cho ho appena espresso sono delle semplici osservazioni.

 

                                                                              Felice D’Amato

© per testo e immagini ELIO CAPOBIANCO & RINALDO DE ANGELIS